giovedì 4 febbraio 2010

Fiato corto

Si può invecchiare
così, senza accorgersene
svegliandosi
col fiato corto
anni più in là del ricordo.
Ricorda.
Romanzo di rughe,
ossa fredde come
corpi estranei
nell’anima.

Ciao, bella ciao
risuona nella gola,
vecchi grammofoni
e dischi persi.
Giri a vuoto.


mercoledì 3 febbraio 2010

Ciao,come stai?

Lo salutò con un repentino gesto del capo che esprimeva tutto fuorché il tono gioviale che usò rivolgendogli la parola: “Ciao,come stai? Sembri in forma. Immagino tu sia finalmente riuscito a dormire almeno un paio d ore stanotte”


“Come sto?...In forma? Cosa in me da l apparenza della prontezza dei riflessi o della elevata conducibilità elettrica del mio sistema nervoso? La tonicità dei muscoli?...No,non li hai toccati. La pupilla dilatata e le occhiaie?...No,no puoi vedere ne le une ne le altre attraverso le lenti scure. Sono sgualcito e mal vestito come al solito dunque nemmeno l’ abbigliamento mi tradisce. Perché allora ti sembro in forma? Potevi risparmiarti questi convenevoli. Ti sembro forse in forma perché non ti comunico più i miei pensieri? Perché non ho più il candore della sincerità? Perché riesco di nuovo a trattenere per me ciò che di fatto è solo mio? Perché riesco a deglutire questa sorta di uovo marcio,questo dolore alla coque, in un sol boccone? Non farti ingannare: è solo abitudine. No. Non ho dormito. Non ho dormito quelle due o tre ore che credo mi rimetterebbero al mondo. Non lo faccio ormai da giorni. Mi meraviglio di come sia possibile tutto ciò. So cosa mi tiene sveglio la notte ma non riesco a comprendere chiaramente cosa mi impedisce di crollare al suolo mentre cammino per la strada con i libri in mano alle 2 del pomeriggio. Te l ho sempre detto: il sonno è sopravvalutato. Guardami: non dormo da quasi una settimana eppure ti sembro “in forma”. Forse ciò che penso la notte è in grado di ristorarmi piu di quanto non possa fare una lunga dormita. Vuoi sapere cosa pensa un uomo,anche se acerbo, la notte? Non pensa a cosa dovrà fare l indomani. Non pensa cosa ha fatto durante la giornata appena trascorsa. Non pensa a macchine,motori o amori. Un uomo ,anche se acerbo, pensa alla Luna. Io penso alla Luna e mi perdo. Cosi trascorro le mie notti vampiresche:alla ricerca d uno spicchio da addentare con la mente dai canini aguzzi. La Luna è vita. E’ l essere più forte dell universo. Perché Lei è un essere,solo che noi la vediamo sempre di spalle. Conosce tutto degli uomini ,delle donne e della loro storia. I grandi piani di guerra,gli intrighi, i tradimenti e le storie d amore s ordiscono sempre di notte sotto lo sguardo fidato della Luna. Lei è l essere più puro e incorruttibile e provo pena per lei che è sempre cosi sola. Non dormo la notte per tenerle compagnia. Come la madre di un figlio,lei conosce tutto di me. Come un figlio ad una madre,le sono grato per ascoltarmi sempre,ogni sera ,con il suo solito sorriso. Se ti concentri puoi vedere come la Luna è la chiara parte centrale di un iride scuro. Un occhio sempre vigile,che, poiché senza palpebra, non puoi ingannare nemmeno per il brevissimo istante di un battito di ciglia. Perché ingannarla poi? Anche alle anime piu corrotte serve sempre un confessore,qualcuno che custodisca i piu intimi segreti per rendere la vita moralmente piu leggera. E la luna lo fa:si carica in spalla tutto,provocandosi dei solchi sulla schiena. La Luna non conosce nobiltà e non chiede mai nulla in cambio. Passo la notte a guardarla e a sognarla ad occhi aperti. Cos’è? Trovo sempre una sola risposta a cio che la notte mi domando:la Luna è una donna. Si staglia luminosa tra un mare di tenebre,ti ascolta amorevolmente, ha le spalle forti e la pelle liscia, non giudica dall apparenza e ti ama senza chiedere null’ altro in cambio. La Luna è una donna; La luna è le donne,unità di misura per le donne. Cio che mi tiene sveglio la notte è cercare di capire quante Lune tu misuri. In maniera quasi scientifica ma per niente asettica mi chiedo quante Lune potrei far entrare in te…”


Lei per l ennesima volta le passo ,da destra a sinistra, la mano davanti agli occhi;classico gesto da compiere per attirare l attenzione di chi si perde un attimo tra i suoi pensieri: “Allora?? Ti ho chiesto come stai. Sembri in forma…”
“Come sto?...Bene,grazie.”

lunedì 1 febbraio 2010

Imprimi

“Impara a ricordare. Quando hai la sensazione di vivere un momento irripetibile fermati ,dilata il tempo. Guardati attorno e ammira il paesaggio se c’è ne uno che ti si apre agli occhi. Nota tutti i particolari e abbellisci con la fantasia cio che ti sembra inappropriato ,grigio, inadatto ad un momento colorato. Fai sgorgare con la mente l acqua da una fontana secca da anni, tramuta il vociare del sottobosco umano in musica soave. Poi guardala. Guardale di nascosto gli occhi,non fartene accorgere. Guardala. Misura l angolo di curvatura delle sue labbra durante un sorriso improvviso e eleggi cio che ottieni a velocità limite della materia. Ti accorgerai che quel valore supera sempre quello della velocità della luce. Guardala. E’ lei che colora tutto. Tu,al massimo, puoi sfumare. Impara a ricordare. Imparalo adesso,fin quando sarai talmente solo da non accorgerti di essere lucido. Impara adesso prima che ,anche per te ,arrivi il tempo della catatonia. Quando la mattina ti svegli e sbadigli,imprimi. Quando impugni un cucchiaio,imprimi. Quando sei triste,imprimi. Quando respiri,imprimi. Imprimi nella tua mente le sensazioni che senti quando compi i piu rituali gesti che possono riempire una giornata,una vita. Imprimili;potrebbero non ritornare più. Scatta ogni giorno una fotografia mentale della tua essenza. Sarai cosi in grado ,tenendola sotto controllo giorno per giorno, di cogliere il momento esatto in cui la tua banalità ti sta abbandonando. Sarai in grado di indicare esattamente il momento in cui puoi decidere di tornare indietro ,o di stare fermo li dove sei arrivato, se vuoi. Tieni sotto controllo te stesso e la tua prevedibilità. Non dare mai nulla per scontato,non darti per scontato ma sii scontato. Non vestirti mai a festa ed erigi un santuario ai tuoi jeans sgualciti. Malgrado io abbia piu del doppio della tua età credo non ci sia nulla che io possa veramente insegnarti. Non posso insegnarti come affrontare la vita:ne sono uscito sconfitto. Non te lo insegnerei in ogni caso;sbagliare da soli e rimanere delusi è tremendamente e pateticamente divertente; nel circo della vita,tra trapezisti e domatori, serve sempre un clown patetico che come unico sollazzo ha il dubbio riguardante l occhio sotto il quale abbozzare la lacrima. Non posso insegnarti nulla, dicevo, ma posso darti un consiglio e augurarti qualcosa. Ti consiglio di non cambiare mai,per quanto pessimo tu sia. La natura ci omaggia con l equilibrio. E non mi riferisco a quell‘equilibrio,squisitamente artistico ed inesistente, grazie al quale chi ne è dotato riesce sempre a prendere la decisione giusta. Mi riferisco a quell’ equilibrio che ci mantiene vivi,ci mantiene in noi, ci permette di godere dei doni e delle privazioni della vita. Cosi come la natura ce ne fa gratuitamente dono parimenti concede ad una determinata persona la capacità di sconvolgerci,di sovraccaricare uno dei piatti della bilancia della nostra vita con diafana leggerezza che tuttavia non riusciamo a reggere. Questa persona ha un nome ben preciso: Lei,la persona giusta. Ecco dunque il mio augurio: ti auguro di non incontrarla mai,in nessun momento della tua vita,giusto o sbagliato che sia. Quale bene maggiore potrebbe esserci di quello derivante dal casuale incrocio dei fili che intrappolano la nostra vita con quelli che sorreggono la vita di chi ,da mosca intrappolata in una tela di ragno, ci farebbe sentire forti come la quercia dove di solito la tela si dispiega?...La domanda è retorica ovviamente ,mio caro. Retorica non perché abbia una risposta scontata ma perché per darne una di risposta servirebbe un grande paroliere,qualcuno in grado di mascherare la verità con le parole. E la verità è che non dovremmo mai essere cosi felici, di quella felicità che solo chi può portare squilibrio nella nostra vita può donarci. La felicità è una ricerca,squilibrio per eccellenza. Quanto egoismo è connaturato alla volontà di completezza? Non completiamo mai l'altro,ma completiamo sempre noi stessi. Riuscirai mai a ritornare alla tua originaria natura qualora,per qualsiasi motivo, la tela si spezzi? Ricorderai com’ era dimenarsi tra i grovigli della vita senza aver qualcuno di cui preoccuparsi ,o verso cui rivolgere lo sguardo, per evitare di aggrovigliare maggiormente la sua matassa sbrogliando la tua? Ci riuscirai?...No. E stavolta retorica e scontata è la risposta. L incontro è un male,come lo è la naturale inclinazione dell’ uomo alla socialità. Chiunque incroci il nostro cammino lascia,il più delle volte inconsapevolmente, un segno indelebile dentro di noi;segno che noi rimuoviamo solamente dalla coscienza pratica della nostra vita,quella utile a sopravvivere, ma che stipiamo nel nostro subconscio. In un qualunque martedi pomeriggio lo sguardo di una donna che cammina per la tua stessa strada ti sconvolge. Ti distrae,desertifica la tua mente e ne fa colonia per un'unica e solitaria oasi di monotematicità. Il piu delle volte quella donna nemmeno si accorge di esserti passata accanto. Immagina che ,invece di passarti accanto con noncuranza, quella donna,una qualsiasi donna entri nella tua vita con piglio sicuro,condotta dalla tua stessa mano. Cosa succederebbe?..Beh,la risposta è semplice: il più delle volte nulla. Semplicemente nulla,perché il più delle volte quella donna non è Lei,te ne accorgi subito. E allora puoi sbizzarrirti fingendo di cambiare,fingendoti appassionato,diverso,immemore di come ,quanto e quando eri mosca. Dentro di te saprai che hai solo smesso di ronzare.Io mi accorsi subito di Lei. Non sentii ne campane,ne cinguettii. L aria non si colorò e il tempo non accelerò ne decelerò . Questi sono solo finti effetti mutuati da non si sa quale originario romanzo d amore da quattro soldi. Lei. Lei cancellò la mia memoria e ,con essa, la capacità di ricordare. Dimentichi immediatamente com’ eri prima di Lei. Perdi la capacità naturale di imprimere nella tua mente qualsiasi cosa. Perdi. Perdi in partenza. Inizi immediatamente col rincorrere qualcosa che, solo in un primo momento credi essere Lei,per poi accorgerti essere il ricordo di te prima di Lei o peggio ancora il ricordo di voi. E’ un bene? LA risposta a questa domanda ognuno la trova dentro di se,perdonami la banalità. Ti auguro di non incontrare mai la persona giusta. Ma se la incontri,allora, guardale di nascosto gli occhi,non fartene accorgere …”

Non aveva ascoltato nemmeno una di quelle parole che ,gli sembrava, gli rubassero ossigeno e pensieri. Era ovvio che il discorso sarebbe degenerato in una lunga e pletorica enumerazione delle cose da fare e da non fare,degli effetti fisici e mentali derivati dall incontro con chi,per un attimo e per errore,decide di scrostarsi di dosso la naturale e salutare voglia di rimanere da solo. Rispose,forse solo nella sua mente: “L ho già fatto,e se ne è accorta.”

La noia.

Sono in uno di quei giorni in cui,come l entrata in un carcere, mi pesa la monotonia di tutto. La monotonia di tutto,però,non è che la monotonia di me stesso. Ogni volto,anche se quello di chi abbiamo visto ieri, oggi è un altro poiché oggi non è ieri. Ogni giorno è il giorno che è,e nel mondo non ve ne è stato mai un altro uguale. L identità sta solo nella nostra anima - l identità sentita ,seppure falsa con se stessa- per la qual cosa tutto si somiglia e si semplifica. Il mondo è fatto di cose distinte e angolature diverse; ma se siamo miopi, è una nebbia insufficiente e uniforme.
Il mio desiderio è fuggire. Fuggire da cio che conosco, fuggire da cio che è mio, da cio che amo. Desidero partire non per le Indie impossibili o per le grandi isole a Sud,ma per qualsiasi luogo,villaggio o eremo che abbia in se il non essere il mio luogo. Voglio non vedere piu questi volti, queste abitudini e questi giorni. Voglio riposare, estraneo, dalla mia finzione organica. Voglio sentire arrivare il sonno come vita e non come riposo. Una capanna in riva al mare, persino una caverna sul ruvido terrazzo di una montagna,possono darmi questo. Purtroppo solo la mia volontà non me lo puo dare.
La schiavitù è la legge della vita e non esiste altra legge,perché questa si deve compiere,senza possibilità di rivolta e senza trovare una via di scampo. Alcuni nascono schiavi, altri diventano schiavi , e ad altri la schiavitù viene imposta. L amore vigliacco per la libertà che tutti proviamo - perché se ce l avessimo ne rimarremmo sorpresi,come per una cosa nuova,rifiutandola - è il segno reale del peso della nostra schiavitù. Io stesso,che ho appena detto di volere la capanna o la caverna dove potermi liberare dalla monotonia di tutto,che è la monotonia di me stesso,oserei io partire per questa capanna o caverna,sapendo,perché lo so,che, poiché la monotonia è mia, ce l avrei sempre con me? Io stesso ,che soffoco dove sto e perché vi sto,dove potrei respirare meglio, se la malattia è dei miei polmoni e non delle cose che mi circondano? Io stesso che anelo intensamente al sole puro e ai campi liberi,al mare visibile e all’ orizzonte intero, chi mi dice che non troverei strano il letto,o il cibo, o il non dover aprire il cancello per uscire in strada?
Tutto quello che ci circonda diventa parte di noi,si infiltra nella nostra sensazione della carne e della vita e,come il muco di un grande ragno, ci unisce sottilmente a chiunque ci sta vicino ,legandoci in un leggero letto di morte lenta ,dove dondoliamo al vento. Tutto è noi,e noi siamo tutto; ma questo a cosa serve,se tutto è niente? Un raggio di sole,una nuvola la cui ombra improvvisa ci dice che passa,una brezza che si leva, il silenzio che segue quando questa cessa, un volto o un altro,delle voci,il riso occasionale tra quelli che parlano e poi la notte dove emergono senza senso i geroglifici spezzati delle stelle...

lunedì 25 gennaio 2010

Serve un rivelatore

Serve un rivelatore. Cos’è un rivelatore? E’ semplicemente qualcosa che ha lo scopo di attestare l esistenza di qualcos’ altro di difficile percepibilità. Cosi il freddo è rivelatore dell’ aria che respiriamo che a temperature rigide si condensa e si fa viva. Cosi l oscurità rende più vivide le forme degli oggetti investiti da un tenue raggio di luce. Cosi la lontananza personifica il dolore. C’è chi si circonda di gente per poi avere maggiori possibilità di scelta quando dovrà addossare delle colpe o cercare delle scuse. Loro sono veramente soli. C’è chi preferisce stare solo per poter ascoltare meglio la sua anima,quasi che non riuscirebbe a farlo se fosse attorniato da altra gente. Loro sono veramente sordi. In questi termini la presunta socialità dell’ uomo andrebbe a farsi friggere. Messa in questi termini le relazioni interpersonali non dovrebbero esistere: non si dovrebbe stare vicino a chi vuole solamente usarci ne si dovrebbe stare vicino a chi non gradisce la nostra presenza. Messa in questi termini basterebbero solamente due tipi sociali per distruggere la socialità: il solo e il sordo. Messa in questi termini Hobbes si rivarrebbe su Aristotele. Ma è chiaro che non esistono solo questi due caratteri ,anche se tutti gli altri si nascondono bene tra i vicoli della vita, all’insaputa dei loro legittimi proprietari. Ecco palesarsi l esigenza di un rivelatore. Esso deve essere della stessa natura della cosa rivelabile. Ecco perché molto speso è più facile che siano le grandi menti o le grandi personalità a riconoscere i propri simili piuttosto che la superiorità venga riconosciuta da chi è effettivamente ,o anche contingenzialmente inferiore. Senza una spinta ,una qualsivoglia spinta verso qualsivoglia direzione nessuno si alzerebbe mai dal trono sul quale crede di sedere. Tutti abbiamo bisogno di qualcosa che ci riveli il momento in cui agire. Mi chiedo spesso cosa spinga gli uomini ad agire bene,ad agire male,ad agire senza produrre alcun effetto. Mi chiedo quale sia il rivelatore di ognuno di noi e quale sia stato quello di chi prima di noi ha scritto la storia in brutta copia lasciandoci il compito di fare la bella. Mi chiedo cosa accadrebbe se ognuno di noi fosse capace di agire sempre secondo ragione-per chi preferisce questo parametro - secondo coscienza -per chi preferisce quest altro di parametro-. Esisterebbe un mondo giusto in tal caso? Un mondo aderente?Sarebbe in quel caso la realtà in grado di mettere in evidenza le bellissime forme della natura umana? Se tutti trovassimo il nostro rivelatore agiremmo ? Avremmo il coraggio d agire? Preferisco non essere cosi totalizzante e presupporre piu razionalmente e quasi statisticamente che a trovare il “quid” siano molti,pochi ,ma sostanzialmente non tutti. Cosa accadrebbe in questo caso? La risposta è sotto i nostri occhi: vivremmo come cellule sane di un organismo malato ma complessivamente funzionante. Chi conosce il perché delle proprie azioni non puo poi fare molto. Può solo vincere una gara dove è lui l unico partecipante o ,al massimo,pattare una partita a scacchi con un altro essere parimenti illuminato. Ma se si dovrà scontrare col mondo ,col resto, allora sarà solamente calpestato. E ciò in fin dei conti non ha poi molto peso nella vita di chi riesce a cogliere il soffio di felicità insito in tutte le cose. L unica cosa che conta per questi esseri fortunati e non-ciechi è godere più a lungo possibile di questo potere ,per godere piu a lungo possibile della vita. Perché credo che ,come tutte le cose belle e utili al contempo , la capacità di ultra-vedere sia preziosa,da usare con parsimonia. E la parsimonia è attributo di chi sa godere dei piaceri sotto qualsiasi natura essi si presentino. Vorrei ,qui e adesso, essere scientifico. L universo è un sistema illimitato ma chiuso e come tale in esso tutto è calcolato,pesato da una bilancia monobraccio che molti usano chiamare Dio. In quanto tale nell’ universo nulla è mai esistito o non-esistito,secondo la concezione che si ha di questo termine. Esiste solo la forma. Solo essa muore,o meglio,si trasforma. Da queste piccoli constatazioni psico-scientifiche ne potrebbe derivare un paragone Hegeliano di cio che io chiamo “rivelatore”. Ne esiste una data quantità:molti ne possono beneficiare per poco tempo oppure una sola persona ne può beneficiare per sempre dato che una tale quantità di lucidità e conseguente felicità renderebbe immortali. E’ forse questa una delle manifestazioni del libero arbitrio:l impossibilità di essere felici per sempre. Prova tangibile dell equilibrio dell universo. Non credo che la realtà resisterebbe a lungo se tutti fossimo felici. Credo che lo spazio tempo si lacererebbe e la verità collasserebbe su se stessa se tutti potessimo dare il giusto senso alle cose. Ma fortunatamente non è cosi. Fortunatamente c’e’ chi riesce a farsi sfuggire di mano il profumo dei fori candidi. State attenti,tutti:potreste essere felici. Che la cerchiate o meno essa vi troverà. E’ suo compito distribuirsi omogeneamente tra tutte le anime. In quest’ottica sembrerebbe quasi giusto essere infelici. Cos è allora che ci fa gridare al vento quando perdiamo cio che rivela noi stessi? Non ho forse detto che la felicità devono averla tutti,pur essendo essa un entità limitata? La felicità ci trova per caso,ma non ci abbandona mai senza un valido motivo. E’ questo che ci contorce:la consapevolezza di aver trattato la felicità come un sussidio che ci spetta per legge divina,una pensione di invalidità dell anima. No,signori miei. Imparate a dedicare silenziosamente una pate del vostro cervello a contare gli attimi in cui sarete in grado di vedere cio che gli altri non vedono e di fare cio che gli altri non fanno. Imparate a considerare lo strumento come lo strumentista. Imparate e ,se ci riuscite,insegnatemelo. L unico vero rivelatore:l amore.

domenica 24 gennaio 2010

Conversare, che fàtica!

Ho sempre trovato faticose tutte le "situazioni da conversazione" (non giudicatemi ancora un'asociale).

Feste, riunioni di parenti, magari incroci un vecchio amico in centro o, imbarazzo totale, un parente acquisito (quasi sconosciuto nonostante svariati matrimoni, funerali e battesimi passati insieme) in sala d'attesa dal medico. Insomma tutte quelle occasioni che richiedono quella lunga sfilza di come stai?che si dice?tutto bene?stai lavorando?(se lavori) stai studiando?(se, utilizzando un termine squisitamente tecnico, cazzeggi tutto il giorno) etcetera etcetera.

Normalmente, se possibile, cerco di defilarmi senza farmi notare (vi prego di sospendere ancora un pò il vostro implacabile giudizio) o di fingere una qualche distrazione ed evitare l'incontro. Non voglio dire che lo faccio per evitare ipocrite battute e convenevoli aridi, ma semplicemente perchè mi stanca.
Almeno mi stanca fingere in queste situazioni.
Se c'è una cosa che mi sono sempre rimproverato è l'aver lasciato andare via tante persone, non provare a trattenerle un pò nella mia vita. Non aver consumato un minimo di unghie e denti per avere qualche altro minuto a disposizione con loro. Vi chiederete per quale motivo: non lo conosco nemmeno io il motivo, conosco solo il rimorso.

Per questo riaprire vecchi rapporti, salutare vecchi amici, mi stanca , perchè mi accusa.

...in alternativa a tutto questo complesso gioco di memorie ed accidenti...

...posso ipotizzare che mi stanca conversare perché dormo coi jeans e la dura gabbia in cui le mie gambe risultano intrappolate 24h su 24 non permette un corretto rilassamento dei tessuti muscolari dei miei arti inferiori che, proprio in virtù della proporzione esistente tra la massa dei suddetti arti e la restante porzione della mia corporeità, contamina il riposo del giusto (che anche la mia clavicola agogna da chissà quanto tempo) trasmettendo al mio risveglio, un senso di spossatezza e di profonda malinconia (congenita alla cerebrosfera parziale del mio Super-Io) tale da non permettermi di riemergere dalla catatonia ancestrale in cui versano i miei meccanismi di percezione-reazione prima di svariati caffè senza zucchero e una decina di ore trascorse in letture edificanti di manga e Shakespeare.

Vi conviene incrociarmi dopo.

P.S. E, i parenti acquisiti non me ne vogliano, ma ricordare almeno il nome no, vero?

sabato 23 gennaio 2010

'N patri campa centu figghi...

...e centu figghi nun campanu a 'n patri.
Trad. Un padre mantiene cento figli, ma cento figli non riescono a mantenere un padre.

Saggezza popolare, riflessione personale.

I proverbi, gli adagi, o semplicemente detti (non detti da me precisiamo, ma dall'illustre Una Volta, fonte mai verificata, ma rimasta nell'uso comune da cui "i detti di Una Volta") sono il nonplusultra della saggezza popolare.
Fonte inesauribile di casi, modi e umori dell'umanità possono differenziarsi in locali ed universali (quelli locali si distinguono per riferimenti alla geografia del luogo o a giochi di carte), o in qualunque altro modo vogliate.

Ed è questo il bello, si adattano a tutto!

Non ho mai trovato un'occasione in cui un proverbio non risolvesse intere questioni con una sentenza rapida quanto incontrovertibile (è questo il vero processo breve, altro che ddl e guardasigilli!) proprio per quella saggezza intrinseca data da secoli di sedimentazione, di quell'esperienza passata di padre in figlio e ancora da padre in figlio fino a diventare un unico nesso, una legge divina.

Ma, e c'è sempre un ma nascosto da qualche parte, non è tutto oro quel che luccica (visto?non posso farne a meno nemmeno io!) e i proverbi sono solo deviazioni. Sono il potere dei padri, la summa di tutte le loro morali e di tutto il loro predominio sull'esperienza.

Quindi non stupisca se i figli hanno sempre la peggio nei proverbi. E se, quando i figli saranno passati dall'altra parte della barricata, essi stessi finiranno per utilizzarne il repertorio per darsi autorità.

Del resto tale padre tale figlio...pure!